Majjhima Nikāya 80

Vekhasana Sutta

Vekhasano

Questo ho sentito. Una volta il Sublime dimorava presso Sāvatthī, nella selva del Vincitore, nel giardino di Anāthapindiko.

Ora Vekhanaso il pellegrino si rese là dove dimorava il Sublime, scambiò con lui amichevoli, notevoli parole e gli si mise accanto recitando il detto: “Questo è il supremo splendore, questo è il supremo splendore!”

“Qual è questo supremo splendore, Kaccāno?”

“Quello splendore di cui non v’è altro splendore più alto e più bello.”

“E qual è esso?”

“Quello splendore di cui non v’è altro splendore più alto e più bello.”

“A lungo ora tu, Kaccāno, puoi continuare a dire così, ma non spieghi quello splendore. Come se un uomo dicesse: ‘Io bramo quella che è la più bella di questo paese, quella desidero’; e gli si chiedesse: ‘Questa più bella del paese, la conosci; è della casta dei guerrieri, dei sacerdoti, dei borghesi o dei servi? Se così interrogato, rispondesse: ‘No’. E gli si chiedesse: ‘Ehi, uomo, questa tua bella che nome ha, che cognome? Di che statura è? È nera, bruna o chiara di pelle; in che villaggio, borgo o città abita?’ Se così interrogato, rispondesse: ‘No’. E gli si chiedesse: ‘Ehi, uomo, quella che tu non sai né vedi, tu la desideri? E lui rispondesse: ‘Sì’. Tu che ne pensi, Kaccāno: stando così le cose, non si sarebbe avuto da quell’uomo una risposta inconcludente?”

“Certamente, Signore!”

“Proprio così tu dici: ‘Quello splendore di cui non v’è altro splendore più alto e più bello’; ma non spieghi quello splendore.”

“Così come una gemma bella, pura, ben lavorata ad otto facce, posta sopra un panno bianco brilla, scintilla e risplende, così risplende l’anima, purificata dopo la morte.

“Tu che pensi, Kaccāno: quale splendore è più vivo e più bello nella profonda oscurità della notte: quello della gemma o quello della lucciola?”

“Quello della lucciola.”

“Tu che pensi, Kaccāno: quale splendore è più vivo e più bello nella profonda oscurità della notte: quello della lucciola o quello d’una lampada ad olio?”

“Quello della lampada ad olio.”

“Tu che pensi, Kaccāno: quale splendore è più vivo e più bello nella profonda oscurità della notte: quello della lampada ad olio o quello di una grande fiaccola?”

“Quello di una grande fiaccola”.

“Tu che pensi, Kaccāno: quale splendore è più vivo e più bello: quello di una grande fiaccola nella profonda oscurità della notte, o quello della stella mattutina all’alba, disperse e svanite le nubi?”

“Quello della stella mattutina.”

“Tu che pensi, Kaccāno: quale splendore è più vivo e più bello: quello della stella mattutina, o quello della luna piena a mezzanotte?”

“Quello della luna piena a mezzanotte.”

“Tu che pensi, Kaccāno: splende più la luna piena a mezzanotte nella quindicesima del plenilunio o il sole a mezzodì nell’ultimo mese delle piogge, in autunno?”

“Il sole a mezzodì.”

“Orbene, Kaccāno, vi sono molti dèi gli splendori dei quali superano quelli di questa luna e di questo sole: ed io li conosco. Però non dico: ‘Altro splendore più alto e più bello di questo non v’è’. Invece tu, di quello splendore che è più basso e più debole di quello di una lucciola, dici: ‘Esso è il supremo splendore’: e non spieghi quello splendore.”

“Vi sono, Kaccāno, cinque elementi di brama. Quali? Le forme, penetranti per la vista nella coscienza; i suoni penetranti per l’udito nella coscienza; gli odori penetranti per l’odorato nella coscienza; i sapori penetranti per il gusto nella coscienza; i contatti penetranti per il tatto nella coscienza: contatti desiati, amati, incantanti, graditi, corrispondenti alle brame, eccitanti. Ciò che ora si produce di piacere e di soddisfazione in questi cinque elementi della brama, si chiama piacere della brama. Così dalle brame viene il piacere della brama, dal piacere della brama il sommo piacere della brama che è sommamente apprezzato.”

Dopo queste parole Vekhanaso disse al Sublime: “È mirabile, Gotamo, è stupendo come questo è stato ben detto dal signore Gotamo.”

“Difficilmente però tu, Kaccāno, comprenderai senza insegnamento, senza pazienza, senza inclinazione, senza sforzo, senza applicazione che è brama o piacere della brama o sommo piacere della brama. Quei monaci però che sono santi, senza mania, giunti alla fine, e che, avendo operato l’opera, deposto il peso, raggiunta la santità ed, essendosi sciolti dai vincoli dell’esistenza, sono redenti in perfetta sapienza, quelli possono comprendere ciò.”

A queste parole Vekhanaso, irritato e sconvolto, criticando, biasimando ed ammonendo il Sublime, [pensò]: ‘Ci sarà forse riuscito l’asceta Gotamo?’, e disse: “Ecco, proprio così parlano alcuni asceti e sacerdoti che, non conoscendo il passato, non vedendo il futuro, pure affermano: ‘Esausta è la vita, vissuta la santità, operata l’opera, non esiste più questo mondo’. Ad essi questo discorso riesce solo di scherno, di nomea, di vanità, di fatuità.”

“A quelli, certo, Kaccāno, che, non conoscendo il passato, non vedendo il futuro, ma affermano ciò, sta bene questa censura. Ma si lasci stare il passato, si lasci stare il futuro; venga un uomo intelligente, non astuto, non simulatore, un uomo retto: io l’istruisco, gli espongo la dottrina. Seguendo l’istruzione, dopo non molto, egli stesso riconoscerà, egli stesso vedrà che così in verità ci si libera interamente dai vincoli, dai vincoli, cioè, dell’ignoranza. Così come se un tenero bambino, un irragionevole poppante, fosse con cinque giri di fasce avvolto, vincolato sino al collo; ed egli poi, crescendo e sviluppatosi, si liberasse dai vincoli, e riconoscesse: ‘Io sono dunque libero, senza più vincoli’; così pure riconoscerebbe quell’uomo intelligente, non astuto, non simulatore, retto, che seguisse l’insegnamento.”

Dopo queste parole Vekhanaso il pellegrino disse al Sublime: “Benissimo, Gotamo, benissimo! Come seguace voglia il signore Gotamo considerarmi da oggi per la vita fedele”.